Le tasse sul lavoro ci sono in tutti i Paesi e non è vero che in Italia sono più alte che altrove. Semplicemente, negli altri Paesi industrializzati, gli imprenditori sono mediamente più capaci e più onesti; non scaricano sui lavoratori i loro bassi profitti, non evadono, non pretendono che lo Stato si carichi i loro fallimenti.
Per questo anche in Italia serve il salario minimo. Chi non lo vuole arreca un danno a molti (lavoratori e imprenditori capaci) per garantire pochi. E arreca un danno al Paese, perché le aziende non competitive sono sempre un costo a livello economico e sociale, non una ricchezza. Perché banalmente, oltre ai costi degli ammortizzatori sociali a cui accedono aziende che non riescono a produrre guadagni, un lavoratore con un salario troppo basso consuma poco.
La verità scomoda sulle tasse
Quando si parla di lavoro, ci si focalizza sempre sui dipendenti: a molti fa comodo raccontare che ciò su cui si dovrebbe fondare il nostro Paese, come da articolo 1 della Costituzione, sia un favore, un privilegio e non un diritto. Si comincia con la “gavetta”, che può durare vent’anni, si finisce con la cassa integrazione. Ed è scomodo dire che il leggendario “Made in Italy, al netto di qualche eccellenza che riesce a sopravvivere, rischia di scomparire per l’incapacità di un tessuto imprenditoriale non al passo coi tempi, un tessuto imprenditoriale vecchio, senza idee, senza futuro.