Questa stagione politica decisamente delirante ci offre l’ennesima perla, l’ennesima sgrammaticatura istituzionale. La premier Giorgia Meloni, durante un comizio a Catania, ha definito “pizzo di Stato” le tasse, le stesse tasse che, tra le alte cose, pagano anche il suo lauto stipendio. Una dichiarazione strampalata, degna di un tassista “no vax” col POS perennemente “rotto”, fatta da chi avrebbe il compito di incassare e spendere bene proprio i soldi che entrano in cassa grazie a quel “pizzo”.
Un Governo in perenne campagna elettorale
Secondo il Giorgia pensiero, la lotta all’evasione va fatta “dove sta davvero l’evasione: le big company, le banche. Non il piccolo commerciante a cui chiedi il pizzo di Stato”. Niente di più falso: a smentire la dannosa propaganda della Presidente del Consiglio è il suo stesso Ministero dell’Economia e della Finanze, che nella sua “Relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva” dice l’esatto contrario. La relazione segnala che gran parte dei circa 100 miliardi di evasione fiscale in Italia sono riconducibili alle piccole transazioni, il famigerato barista che non batte lo scontrino sul caffè, per intenderci.
La verità è che Giorgia Meloni continua a parlare come se fosse la leader di un partito di opposizione con percentuali ridicole, non ha ancora acquisito l’autorevolezza e il decoro istituzionale che competerebbero a un capo di Governo di una democrazia occidentale. Lei e i suoi ministri sono in perenne campagna elettorale, come se fuori non ci fosse un Paese da governare. E infatti di loro si parla per le ormai quotidiane sparate, non certo per risultati che non arrivano: mentre il signor presidente Giorgia di fatto invita i piccoli commercianti a evadere le tasse, l’Italia non riesce a spendere i miliardi del PNRR.
Se Giorgia Meloni paragona il “suo” Stato alla Mafia
La cosa forse più grave del termine utilizzato da Giorgia Meloni per spiegare che il suo Governo non farà molto per contrastare l’evasione fiscale dei “piccoli”, è il termine utilizzato per definire le imposte. Il “pizzo” è lo strumento con cui si pratica l’estorsione, è quello che devono pagare i commercianti ai mafiosi per evitare che il loro esercizio subisca furti e danni. Una “protezione” che in realtà protegge dalle eventuali ritorsioni di chi incassa. Una premier che paragona lo Stato che rappresenta alla mafia danneggia prima di tutto se stessa, senza rendersene conto.
Esultano gli evasori
Ovviamente, almeno nel breve periodo, una propaganda che utilizza toni da chat Telegram di complottisti continuerà a pagare, i risultati dell’ultima tornata amministrativa parlano chiaro. Chi non si rende conto che le tasse servono a pagare ospedali, scuole, sicurezza e tutti quei servizi che un “ricco” può pagarsi privatamente, pensa che un politico che le combatte sia “vicino al popolo”. E così, in rete esultano quei piccoli commercianti, quei tassisti e quei liberi professionisti che si aspettano che il Governo continui a chiudere entrambi gli occhi, mentre le persone perbene che pagano fino all’ultimo centesimo si sentono sempre più degli alieni.
Poi, presto o tardi, bisognerà far quadrare i conti: da qualche parte i soldi andranno presi e non basteranno più quei tagli al welfare e alla spesa pubblica che nel frattempo abbasseranno ancor di più il tenore di vita degli stessi elettori dei partiti che sostengono l’attuale Governo. A quel punto verrà meno anche il consenso, tutti invocheranno “meno urla e più serietà”, arriverà il tecnico di turno con la classica manovra “lacrime e sangue” per rimettere a posto i conti. E dopo di lui gli ennesimi saltimbanchi che aizzeranno il popolino. Un loop eterno…